Siamo sempre più una «economia del burnout», immersi in un modello «ossessionato dalla crescita», impegnati in «una corsa per aumentare i profitti di una piccola élite» e che ha finito per rendere milioni di persone «troppo malate per correre». La crescita a tutti i costi, quella che non guarda in faccia ai diritti e con uno schema produttivo che non conosce condivisione e inclusione, sta creando «un’ondata di malattie mentali» tra le persone in povertà. E se già da tempo molto si parla dello stress da lavoro e da competizione dei colletti bianchi, così come una certa attenzione si pone ai problemi di chi un lavoro non ce l’ha proprio, non sempre si sottolinea abbastanza quanto la flessibilizzazione del lavoro incida sull’aumento dei problemi di salute mentale che colpiscono le persone a basso reddito. Se 970 milioni di persone (l’11% della popolazione mondiale) soffrono di un problema di salute mentale, coloro che hanno un reddito più basso e condizioni di flessibilità lavorativa estrema hanno una probabilità fino a tre volte maggiore di soffrire di depressione, ansia e altre malattie mentali comuni rispetto a coloro che hanno i redditi più alti.